La sentenza torinese sui riders. Perfino il jobs act non basta piu' ai padroni digitali

Siamo intervenuti in piu' occasioni sui riders non perchè riteniamo che la gig economy sia l'ambito privilegiato dell'azione conflittuale ma perchè, come accaduto tanti anni fa con gli interinali, sono proprio i piu' deboli a rappresentare il banco di prova per affermare regole inique per tutto il mondo del lavoro. Se ricorderete bene, venti anni fa circa, cominciarono le storielle sulle presunte tutele di troppo per i lavoratori subordinati, si diceva che avremmo dovuto spalmare le tutele a vantaggio di chi non le aveva.

 Un ragionamento padronale per cui le tutele collettive ed individuali non vanno ampliate ma rinegoziate senza spendere un euro in piu' di quei soldi pubblici che, da lustri ormai, vanno ai padroni sotto forma di incentivi, sgravi e ammortizzatori sociali (non si capisce perchè se ne parla da sempre in rapporto ai beneficiari omettendo il fatto che il datore di lavoro ne trae vantaggi non indifferenti).

I riders non sono ammessi dalla Magistratura nel novero dei lavoratori subordinati, si guarda ad altri paesi europei dove la divisione tra subordinati e autonomi è forse piu' chiara nel senso che i padroni, anche nella versione digitale odierna, se la cavano con una generica carta dei diritti, una assicurazione che offre coperture in caso di infortunio, ricovero ospedaliero, cure mediche, la piccola monetizzazione in caso di disponibilità senza essere effettivamente impiegati ma non ti considera sullo stesso piano di lavoratori normalmente contrattualizzati.

Torniamo alla sentenza del tribunale di Torino, la quale va ben oltre il jobs act che almeno estenderebbe la disciplina del lavoro subordinato anche «ai rapporti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».
 
Forse non siamo stati abbastanza chiari, con il jobs act certe collaborazioni autonome sarebbero considerate alla stregua di un contratto subordinato, il diritto dell'epoca digitale invece resta ancorato alla negazione di ogni carattere subordinato, anche dove è palese che non si tratti di lavoro autonomo vista la concreta gestione del lavoro e le ritorsioni sul rider qualora non rispetti tutti i codici di comportamento e i tempi di consegna.

Per la sentenza l’eterodirezione riguardare «anche» i tempi e il luogo di lavoro ma il fattorino ha orari particolari dettati dal cosiddetto mercato e i suoi luoghi di lavoro sono la strada. Quindi?
Non basta dire che il datore di lavoro dovrebbe, ai fini del carattere subordinato, dettare senza mediazione i tempi e i luoghi di lavoro ai fattorini.

 E' evidente che ottimizzando i tempi, accorciando le pause, accellerando la consegna, stabilendo via whatsapp  la strada piu' corta da seguire  si diano delle precise indicazioni sulla modalità di esecuzione del lavoro , sulle aree geografiche è pacifico pensare che la piattaforma non affidi una consegna a chi impiegherebbe un tempo assai piu' lungo con la conseguente non soddisfazione del cliente.

 Da qui la certezza, almeno nostra, che non siamo in presenza di un lavoratore autorganizzato, cosi' lo vogliono piuttosto presentare per vendere una immagine della piattaforma completamente diversa dalla realtà. Non esiste una collaborazione autonoma tra i riders, la loro prestazione è soggetta a regole ben piu' ferree di quelle che immaginiamo, non si tratta solo di un accordo tra le parti per rispettare i tempi celeri di consegna, esiste una vera e propria organizzazione aziendale dove il fattorino esegue quanto gli viene ordinato e in caso di diniego, reiterato, puo' anche ritrovarsi escluso dalla piattaforma e senza lavoro.

 Per queste ragioni non ci convincono le giustificazioni addotte dal Tribunale, crediamo che il diniego del carattere subordinato dei lavoratori delle piattaforme dovrebbe essere oggetto di ulteriore approfondimento da parte di una rete legale di giuristi nonchè oggetto di mobilitazione.

 L'obiettivo? Estendere tutele e non distribuirlenella vasta platea dei lavoratori assecondando la logica dei padroni e nella filosofia dello Statuto dei lavori.

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