Gig economy: cosa succederà nei prossimi mesi ai lavoratori digitali?
Forse è arrivato il momento di
schierarsi anche per i lavoratori della gig economy, giusto per non
cadere nell'equivoco che una loro rappresentanza possa essere fagocitata
dal sindacato complice con la precarizzazione del lavoro e delle nostre
esistenze. E' già accaduto nel passato con la nascita del Nidil Cgil e,
oggi, leggere che una delle soluzioni per i lavoratori atipici sarebbe
rappresentata dalla loro copertura assicurativa ci sembra francamente un
approccio non solo riduttivo ma finalizzato a gestire la precarietà in
termini subalterni e compatibili con il capitale.
Sia ben chiaro che il
primo ruolo del sindacato dovrebbe essere quello di offrire tutele
collettive ed individuali, cosa ben diversa dalla supina accettazione di
tutte le regole imposte nel corso degli anni. Non è che facendosi
rappresentare dai paladini del lavoro gratuito (ricordate Expo e
l'accordo sottoscritto da cgil cisl uil?), i lavoratori della gig
economy arriveranno a risultati migliori o al riconoscimento dei loro
diritti. Questo valga per loro come per tutte quelle figure precarie
che negli anni passati hanno ceduto la loro rappresentanza sindacale e
politica a terzi con risultati a dir poco deludenti.
Ciascuno poi farà le scelte che
vuole, resta ineludibile una questione: puo' un sindacato che ha taciuto
sulla Fornero, sul jobs act e sullo stravolgimento dell'art 18
rappresentare le istanze dei lavoratori digitali?
La nostra risposta è negativa pur
ammettendo che i processi di automazione dovrebbero essere presi in
seria considerazione anche dal sindacalismo di base perchè il problema
non è rappresentato dai robot e dalla tecnologia ma dall'uso che il
capitale intende farne disconoscendo il ruolo della stessa forza
lavoro.
Restano linguaggi diversi e anche un approccio culturale e
analitico che almeno da parte nostra non significa abbandonare la natura
subordinata di tanti lavoretti o pensare che il lavoro autonomo sia il
punto di partenza per la liberazione dal lavoro salariato e dallo
sfruttamento soprattutto perchè conosciamo bene quel mondo e vediamo
condizioni di vita e di lavoro precarie e sottopagate.
La rivoluzione digitale
ripropone nuova dialettica tra il lavoro e la tecnica e fin qui siamo
tutti d'accordo, è tuttavia innegabile che i lavoretti siano
all'insegna del disconoscimento di diritti, di un contratto degno di
questo nome, di livelli retributivi dignitosi. La rivoluzione digitale
si avvale allora dei processi di sfruttamento selvaggio di epoche assai
lontane dalla odierna tecnologia ma si tratta di epoche capitalistiche.
L'idea dei produttori-consumatori collaborativi, l'esaltazione di
presunte e innovative forme di organizzazione della vita economica
stride invece con la realtà di lavori mal pagati e con la tendenza
contrattare individualmente le condizioni retributive giusto per evitare
che la forza collettiva possa determinare rivendicazioni salariali che
ridurrebbero i margini di profitto.
Il neo capitalismo delle
piattaforme non è qualcosa di neutro perchè a gestire le piattaforme
sono gli uomini e una logica capitalistica che vuole ridurre il costo
del lavoro, i tempi morti e accrescere i margini di profitto . Forse la
rivoluzione digitale presenta connotati piu' fordisti del previsto
secondo la logica di massima razionalità del capitale per produrre
maggiore e continuo valore, insomma chi pensava al lavoro liberato forse
si imbatterà in condizioni di sfruttamento da rivoluzione industriale
del sec XIX.
E i lavoratori, considerati
subordinati a tutti gli effetti, rappresenterebbero per il capitale un
ostacolo per l'utilizzo in termini ultraflessibili di questa manodopera .
Non a caso, alcuni teorici del capitale stanno parlando dei lavoratori
autonomi come la tipologia di lavoratore che meglio potrebbe raccogliere
e valorizzare la nuova tecnologia dignitale ma si tratta di falsi
lavoratori autonomi che pur essendo a tutti gli effetti subordinati non
vengono considerati tali per essere sfruttati maggiormente. Gli effetti
positivi in termini di partecipazione al mercato del lavoro, occupazione
sono difficili da riconoscere se pensiamo che l'economia dei lavoretti
produce salari ridicoli soprattutto se rapportati alle ore
effettivamente lavorate o nelle quali si è a disposizione dell'azienda.
Dove sta allora il problema?
I padroni sono ben consapevoli
che presto si presenterà la necessità di costruire una rete di tutele
contrattuali e di welfare, nel frattempo i lavoratori subordinati vedono
scambiare parte del loro salario con i bonus. Sicuramente un riders, in
linea teorica, potrebbe essere interessato a una copertura assicurativa
o a cedere la propria rappresentanza sindacale e politica in cambio di
una indennità per i tempi morti. La nostra è una provocazione ma siamo
certi che la necessità di conquistare condizioni lavorative e salariali
migliori sarà cosi' forte da indurre molti a cedere a qualche
compromesso lasciandosi fagocitare dentro il calderone dei sindacati
complici
Allo stesso tempo se il diritto
del lavoro non esiste piu' su innumerevoli materie, dovrà ripensare la
sua funzione anche in rapporto a queste nuove attività lavorative, tra
il pianeta assicurativo e le forme di sussidio in assenza di lavoro
Non ci sembra casuale poi che
tanto ilTribunale di Torino quanto la Cour d'Appel di Parigi abbiano
ritenuto non subordinato ma autonomo il lavoro rispettivamente dei
postini di Foodora e degli autisti di Uber, una volta disinnesacata la
minaccia del riconoscimento della natura subordinata di queste
prestazioni, con l'ausilio dei sindacati complici, passeranno a
costruire qualche riconoscimento per i lavoratori digitali nell'ottica
tuttavia di riportarli dentro le compatibilità capitalistiche e dei
sindacati subalterni al capitale. E in questa ottica ci verranno a
raccontare della urgenza di un nuovo statuto dei lavori (ricordate
lavori contro lavoratori come libertà in antitesi a liberazione?)
magari con principi guida uguali per tutti i paesi, una sorta di
statuto su scala globale per i lavoratori digitali.
Una volta negato il carattere
subordinato di questi lavori, il legislatore e il sociologo di turno
potranno dedicarsi alla creazione di figure intermedie , al loro status,
al ricoscimento di una generica «responsabilità sociale delle
piattaforme» che poi si tradurrà nella assicurazione sociale in caso di
infortuni e malattie professionali, nel diritto alla formazione al
riconoscimento di una loro rappresentanza dentro le regole vigenti nei
singoli paesi.
All'indomani del disconoscimento del carattere
subordinato delle prestazioni lavorative, arriva la necessità di
ridefinire il quadro legislativo dentro cui far operare i lavoretti
della gig economy, pensare a un sistema di tutele che poi potrà essere
gestito anche attraverso il sistema della previdenza e della sanità
integrativa dentro cui operano i sindacati complici.
Di questo ormai si parla in
Francia , in Germania e in Inghilterra dove per i lavoratori della fig
economy si va definendo il concetto di dependent contractor al posto del tradizionale worker
. La strada è già indicata per il legislatore italiano, basta trovare
un accordo con i sindacati complici, cedere loro la gestione delle
assicurazioni e delle coperture sanitarie e riconoscere qualche
condizione di miglior favore dentro un contesto di precarietà salariale e
lavorativa, di sfruttamento selvaggio e di padroni invisibili dietro
alle piattaforme. Come già accaduto con gli interinali, la parabola dei
lavoratori della gig economy, che hanno saputo costruire momenti
significativi di proteste e di mobilitazione, potrebbe avere un epilogo
diverso da quello auspicato:dalla critica al capitalismo digitale al
riconoscimento dei bonus che annullano ogni effettivo riconoscimento
contrattuale e salariale.
La precarietà lavorativa ed esistenziale
insomma come unico orizzonte possibile nell'era del capitalismo
digitale.
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