Economia collaborativa? No grazie
Quanti di noi sanno cosa sia la economia collaborativa?
Trattasi
della collocazione di beni e servizi i sul mercato attraverso
piattaforme telematiche. Una definizione impropria se pensiamo che di
collaborativo e disinteressato le piattaforme hanno ben poco, costruite
come sono per accrescere valore e ridurre il costo del lavoro. Esiste
piuttosto una collaborazione oscura dei cittadini che loro
malgrado, con la semplice connessione, producono informazioni e dati
che acquistano valore e rielaborati da algoritmi determinano scelte di
mercato, fanno aumentare i profitti di innumervoli aziende. Trattasi di un lavoro oscuro e gratuito, inconsapevole ma determinante per l'economia digitale. Da qui nascono le rivendicazioni di un salario minimo da parte di realtà giovanili e studentesche.
Un altro elemento su cui richiamare l’attenzione si riferisce a quello che è successo, in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, nel momento in cui la relazione esistente tra i «prestatori di servizi» che stipulano un contratto con le piattaforme e le piattaforme stesse è stata oggetto di cause giudiziarie. Nel caso di Uber ci sono già state due sentenze, nel Regno Unito, in cui si afferma che i conducenti di questa piattaforma sono lavoratori e quindi hanno diritto a vedersi riconosciuti gli stessi diritti del resto dei lavoratori di quel Paese. Al contrario, in altri paesi questi lavoratori digitali sono considerati alla stregua di un freelance.
Un altro elemento su cui richiamare l’attenzione si riferisce a quello che è successo, in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, nel momento in cui la relazione esistente tra i «prestatori di servizi» che stipulano un contratto con le piattaforme e le piattaforme stesse è stata oggetto di cause giudiziarie. Nel caso di Uber ci sono già state due sentenze, nel Regno Unito, in cui si afferma che i conducenti di questa piattaforma sono lavoratori e quindi hanno diritto a vedersi riconosciuti gli stessi diritti del resto dei lavoratori di quel Paese. Al contrario, in altri paesi questi lavoratori digitali sono considerati alla stregua di un freelance.
Non si tratta di demonizzare le piattaforme ma di riportarle alla loro funzione capitalistica e all'interno di questo ragionamento riflettere sul lavoro digitale e sulla sua effettiva natura. Occorre capire se vogliamo che il lavoro digitale sia conflittuale con il capitale oppure no, se ci accontenteremo del riconoscimento di uno status piegandoci poi a logiche di compromesso di cui gli stessi lavoratori pagheranno i costi in termini salati. Il diritto del lavoro parte dalla realtà dei fatti ma in pratica puo' anche piegare la realtà dei fatti alle priorità del capitale come accaduto nelle numerose cause intraprese dai riders in vari paesi europei. Ma per cortesia non cediamo al luogo comune secondo il quale il mancato riconoscimento giuridico della natura subordinata di queste prestazioni non costituirebbe un problema, come scrivono ogni giorno gli analisti de Il sole 24 Ore.
Quando si parla di subordinati lo si fa non per imprigionare la forza lavoro dentro uno schema fordista ma per restituire diritti a queste figure, lo si fa pur consapevoli che dalla Fornero al Jobs act innumerevoli tutele le hanno distrutte
Nell'epoca fordista il lavoro autonomo è aumentato mentre negli anni recenti ha subito una forte contrazione. Il problema non è quindi mettere in antitesi gli interessi dei cosiddetti garantiti con i freelance ma assicurare a tutti i lavoratori e la lavoratrici pari dignità e salario, tutele collettive ed individuali da non ridurre nella mercanzia del proprio contratto individuale L'idea allora del livello minimo di diritti, del salario minimo serve solo a ridurre le tutele per tutte\i, non serve a guadagnare condizioni di vita e di lavoro migliori per subordinati e digitali. E' bene ricordarlo sempre e a chiunque provi a dividere i lavoratori con cervellotiche analisi miranti a creare steccati e a non unificare la forza lavoro
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