Crisi e conflitto nella formazione professionale: Il caso di Formalba/Albafor


Il primo intervento della assemblea tenutasi il 20 Giugno a Pisanello su fabbriche occupate \ recuperate e situazioni di lotta...



Un po’ di storia

L’idea di impegnare il Comune di Albano in un’attività di formazione, in primis per i disabili, è nata nel 1979, a seguito della chiusura dell’ANFFaS Castelli Romani. La Regione Lazio appoggiò grazie all’Assessore Luigi Cancrini il progetto.

Negli anni ‘80 l’attività di formazione del Comune di Albano ha rappresentato un’eccellenza riconosciuta nella Regione Lazio e, con il tempo, sono state rilevate le attività ex-Enfap (Albano, Pomezia e Velletri). Inoltre, l’ottima qualità della formazione erogata ha avuto un grande riconoscimento con l’accesso ai Fondi Sociali Europei.

Nel periodo della gestione diretta da parte del Comune di Albano, l’attività di formazione è rimasta sempre in pareggio.

Nel 2000 Marco Mattei è diventato Sindaco di Albano. La giunta Mattei ha bocciato l’ipotesi di consorzio per la gestione della formazione con i Comuni di Anzio e Tivoli e, invece, nel 2002 ha costituito la società Albafor, una SRL.

Nel 2007 la società Albafor ha ampliato ancora la sua sfera di influenza, acquisendo parte dello IAL-CISL di Roma con le sue quattro sedi dell’Area metropolitana e il relativo personale. La crisi dello IAL-CISL era dovuta ad un eccesso di personale amministrativo. Così facendo l’Albafor diventava uno dei più grandi Enti della Regione Lazio. La società Albafor è rimasta economicamente solida fino al 2009.

Nel 2009, alla vigilia delle elezioni comunali e regionali del 2010, in Albafor sono stati assunti più di 60 dipendenti, senza concorsi pubblici trattandosi di una società partecipata, e sono stati nominati molti direttori e vicedirettori.

Nel 2010 la società Albafor si è ritrovata con oltre 200 dipendenti, 23 direttori e vicedirettori, 1.600.000 euro di costi del personale aggiuntivi. Aumentò, dunque, l’esposizione dell’azienda verso le banche e anche i relativi oneri finanziari.

Nel 2011 la Regione Lazio ha applicato una rilevante contrazione dei finanziamenti sulla formazione che ha ulteriormente aggravato la situazione economico finanziaria di Albafor, già molto critica a causa dell’eccesso dei costi del personale.

Negli ultimi anni Albafor non è riuscita più a pagare regolarmente gli stipendi, che sono stati erogati con sei/sette mesi di ritardo.

Di fronte a questa situazione disastrosa, che il Comune di Albano Laziale non è riuscito più a gestire, la società Albafor è stata messa in liquidazione.

In ottobre 2014 è stata costituita la nuova società Formalba (la new company), con l’obiettivo di chiudere Albafor (la bad company) con un concordato preventivo con le banche e con i fornitori.

In febbraio 2016 il Pubblico Ministero della Procura di Velletri ha presentato una richiesta di fallimento nei confronti della società Albafor disponendo il sequestro dei beni societari a tutela del debito dei creditori.

Va evidenziato che la società Formalba non è di proprietà del Comune di Albano Laziale, ma è controllata dalla società Albafor. La nuova società Formalba viene, dunque di fatto, coinvolta nell’ambito del fallimento della società Albafor, con tutte le gravissime conseguenze che ne possono derivare.

Poco sembra modificare la situazione la Delibera 35 del Consiglio Comunale del maggio 2016 per la dismissione con vendita di Formalba, Delibera che invece ha un grande valore politico sulla volontà di dare una risposta alla crisi che sta travolgendo i lavoratori.

Il 2015 è, poi, l’anno dei contratti di solidarietà e della cassa integrazione, altre perdite economiche (dal 13 al 19%) per i lavoratori pur di mantenere gli organici. il proliferare dell’uso delle “collaborazioni” di docenti a partita IVA o le nuove assunzioni con i contratti a “tutele crescenti” hanno ulteriormente abbassato i salari dei lavoratori.

Formalba, dunque, si sta finanziando in maniera assolutamente impropria con i soldi dei lavoratori.

Le vie possibili.

Si affacciano così tutte le ipotesi possibili dalla vendita alla trasformazione in cooperativa, al ritiro da parte della Regione dei corsi e lo smembramento dell’Ente più importante della provincia di Roma.

Ogni ipotesi mette oggettivamente in discussione i posti di lavoro, l’esperienza accumulata da tutto il personale, le condizioni stesse di lavoro fino ai crediti maturati dai lavoratori in termini di buste paga non corrisposte.

Non solo, il rischio che il debito accumulato si riversi sui bilanci del Comune di Albano e, dunque, di tutti i cittadini sembra essere l’altra plausibile conseguenza.

E su tutto i processi penali avviati dalla Procura di Velletri nei confronti delle amministrazioni e i primi cittadini, proprio sull’ingente debito provocato dalla gestione dell’Ente.

Nessuno sembra porsi il problema che già oggi anche Formalba è nelle condizioni di essere sottoposta, anch’essa, nella procedura di fallimento, solo si pensi all’ammontare delle 8 mensilità non versate ai lavoratori.

Non è, dunque, la perdita di iscritti o una previsione di un calo del “bisogno” di formazione ad aver creato questa situazione, in sintesi è stata la combinazione di diversi fattori a far deflagrare i conti: l’aumento delle spese (con assunzioni non pianificate, acquisizioni di altri enti, affitti oltre i costi di mercato, nomine dirigenziali) diminuzione delle entrate con il calcolo dei finanziamenti non in base ai corsi bensì sul numero degli studenti, senza tener conto delle particolarità del settore che copre la formazione prestata dai lavoratori di Formalba.

Questi eventi nulla hanno di accidentale o casuale, si tratta infatti della conseguenza di scelte volte alla privatizzazione della formazione professionale e ancor più nefasta una privatizzazione finanziata con soldi pubblici: una funzione pubblica (la formazione) pagata dal pubblico ma gestita senza i “limiti” e i “controlli” previsti dalla gestione pubblica.

La RI-PUBBLICIZZAZIONE di FORMALBA È ECONOMICAMENTE COMPATIBILE, SOCIALMENTE AUSPICABILE, NORMATIVAMENTE POSSIBILE.

Economicamente compatibile: ristabilendo la relazione tra il bisogno di formazione e i costi reali per soddisfarlo, con una gestione oculata e trasparente, la collettività può fermare l'emorragia di soldi pubblici. Abbattendo i costi, secondo legge, di affitti o stabilendo una più corretta proporzione tra dirigenti e dipendenti, organizzando il servizio in modo da sfruttare tutto il personale, si può allargare ulteriormente la platea degli studenti.

In un territorio in cui le crisi di imprese, i tagli all’impiego pubblico (si pensi ai 10 mila posti nella Regione Lazio nella scuola statale dalla Riforma Gelmini) sono alla base della crescita della disoccupazione e aumento dello sfruttamento dei lavoratori, troppo spesso privi della specializzazione nei settori industriali o commerciali che possono essere alla base della ripresa economica.

Normativamente la ripubblicizzazione è possibile, anche l’attenzione a livello governativo con il Decreto Madia sottolinea l’assunzione della necessità di arginare l’esperienza delle società partecipate, noi diciamo più in generale che è diventato urgente chiudere con le esternalizzazioni, che proprio per le loro caratteristiche strutturali, hanno provocato in tutto il paese, l’aumento dei costi, il peggioramento dei servizi e le condizioni di lavoro e di vita, con la continua incertezza del posto di lavoro,e non raramente, ha portato a fenomeni di grave corruzione. La reinternalizzazione dei servizi e dei lavoratori è l’unica strada praticabile se si vuole cambiare rotta.

Le stesse leggi regionali del Lazio, la realtà di altri centri di formazione professionale, ci danno gli strumenti per far sì che la funzione dell’istruzione e la formazione professionale, la cui competenza è della Regione, sia sotto la proprietà e gestione pubblica.

La Nostra Piattaforma:

1) Mantenimento di tutti i posti di lavoro e contratti regolari a tempo indeterminato per tutti;

2) Recupero di tutte le retribuzioni non ricevute, ad oggi siamo ad 8 mesi;

3) Mantenimento di tutti i corsi in tutte le sedi;

4) Ripubblicizzazione dell’Ente di Formazione con la piena acquisizione da parte della Regione;

5) Istituzione di una commissione di indagine della Regione con le Amministrazioni Locali, sullo stato dell’Ente e sulle responsabilità politiche ed amministrative che ne hanno determinato l’indebitamento.

CHI PAGHERÀ’ IL DEBITO?

Deve essere impegno di tutti sul piano politico come quello legale l’accertamento delle responsabilità, anche in solido di ciò che è avvenuto, altrimenti il continuo ripetersi della espropriazione dei beni pubblici che non trova la riscrittura della storia e delle responsabilità e che si scarica solo sui lavoratori e i cittadini, è destinato a rompere definitivamente il rapporto tra istituzioni e popolazione.

I PRIMI PASSI

Per la realizzazione di un piano più complessivo che non sia il “rattoppo” su toppe già logore, è necessario che la Regione si faccia promotrice di un Tavolo Istituzionale con la presenza di tutte le amministrazioni locali dei Comuni coinvolti, la Città Metropolitana, insieme con i lavoratori e tutte le organizzazioni sindacali, come pure i comitati dei genitori e degli studenti, per verificare tutti i possibili passaggi per la ri-pubblicizzazione dell’Ente.




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