Ancora dalla assemblea pisana fabbriche occupate e recuperate


Altro intervento alla assemblea ddel 20 Giugno a Pisanello

DESI SOCIETA’ COOPERATIVA: UN PICCOLO ESEMPIO DI LOTTA ORGANIZZATA!!!


La storia della D’Esi Società Cooperativa ha origini molto profonde che ha intrapreso il suo percorso formale in tempi dove la crisi ancora non era esponenziale e non era arrivata ai massimi livelli di sopportazione per i lavoratori. Per alcuni di noi, il percorso si è formato sulla consapevolezza e sulla base di due fattori principali legati alla lotta di classe e alla opposizione contro l’ingiustizia politica e sociale che colpisce inesorabilmente i lavoratori quando vengono privati del proprio posto di lavoro: credere di fatto che i padroni possono essere sconfitti, e che la lotta se orientata su obbiettivi concreti può inesorabilmente ribaltare una situazione che può sembrare irreversibile, morta, legata ad una forma di “normalità assurda” che spinge i lavoratori a farsi una ragione del proprio destino facendoli sentire a volte in colpa e causa principale della perdita del proprio salario e del reddito. Cercherò di riassumere velocemente il lungo percorso che ha portato 15 lavoratori, tutti ex dipendenti della nostra vecchi fabbrica, a questa storica impresa,con l’obbiettivo e la speranza di dare una testimonianza e un esempio che possa incitare chi perde il proprio lavoro a credere ancora nel futuro e in una realtà lavorativa in mano e sotto il controllo dei lavoratori.

A scegliere per il proprio destino,ad individuare chi inizialmente li può aiutare stando molto attenti però alle male intenzioni e a personaggi che possono lucrare e approfittare della spontaneità, del coraggio e soprattutto dell’onestà di chi decide di andare contro corrente ai sistemi aziendali legati al capitale e al profitto. Questo è il concetto di base senza il quale sarebbe impossibile far ripartire e recuperare una fabbrica nella consapevolezza che nessuno è disposto a tenderti una mano, e che a nessuno di chi gestisce normalmente situazioni simili alle nostre non importa assolutamente il messaggio politico e sociale del nostro percorso.

Entrando nel dettaglio della nostra vicenda, ad agosto 2014 sono iniziati ad esserci i primi problemi con gli stipendi. Il nostro lavoro di militanza e di opposizione alle burocrazie della Cgil in primis(essendo una parte di noi espressione del “sindacato è un'altra cosa opposizione interna”), ha fatto si che il livello di scontro precipitasse in maniera forte ma comunque con pochissime certezze di poter contrastare le decisioni del padronato. Non avendo nessun appoggio formale dalle sigle confederali, con il nostro partito, abbiamo denunciato immediatamente sulla stampa la criticità nella quale versava la forza lavoro ed abbiamo attaccato pesantemente la concertazione sindacale - padronale. Siamo stati oggetti di una forte repressione psicologia e politica da parte della vecchia proprietà, e da chi doveva in qualche modo tutelarci e spingerci alla lotta e non alla ritirata.

Nel frattempo il Mercatone Uno, principale cliente dell’azienda espressione di quasi il 50% del fatturato complessivo, ha presentato richiesta di ammissione al concordato preventivo in bianco. Il debito pregresso è stato congelato, le banche hanno bloccato i vari crediti. La produzione viene quasi immediatamente fermata. Il 26 Febbraio 2016 viene comunicato alle Rsu che l’azienda avrebbe presentato istanza di fallimento al Tribunale di Ancona, ma che contestualmente ci sarebbe stato un nuovo gruppo pronto a subentrare e a rilevare la proprietà. In una delle fitte assemblee organizzate da Cgil – Cisl – Uil per far digerire la pillola amara a tutti i lavoratori e per far si che il livello di scontro non precipitasse a favore del nuovo gruppo industriale, io e i miei compagni di partito e sindacato abbiamo immediatamente proclamato lo stato di agitazione permanente. Questa è stata la prima battaglia che abbiamo strappato e che ha fatto si che le posizioni concertative instaurate tra proprietà e burocrazie sindacali, uscissero indebolite e per un certo senso meno credibili agli occhi dei lavoratori disperati ed anestetizzati dalla paura e dallo sconforto. Il nostro terreno di intervento è stato sempre quello dell’assemblea di fabbrica nella quale nel giro di un fine settimana , siamo riusciti a far passare i presidi permanenti d’avanti ai cancelli per tutelare materiali e macchinari che potevano fungere da appiglio e da ancora di salvezza per poter recuperare la fabbrica. Purtroppo non siamo riusciti a creare le condizioni per l’occupazione immediata della fabbrica tema soggetto all’interno della discussione a continue strumentalizzazioni da parte dei delegati esterni e dei rappresentanti sindacali del territorio. Abbiamo comunque messo all’angolo le burocrazie sindacali che avevano votato contro i picchetti e che li ritenevano subdoli e poco efficaci. Di fatto abbiamo rimesso in mano alla forza lavoro il timone della vertenza per la tutela delle proprie ragioni, contro i padroni e i loro servi.

All’inizio dei presidi permanenti abbiamo iniziato con maggiore insistenza a presentare ai lavoratori un quadro diverso ed alternativo che poteva portarci a diventare questa volta noi stessi protagonisti del nostro destino lavorativo e non più sottomessi ad ordini ed indicazioni legate al benessere e al profitto di pochi.

Iniziamo a raccogliere le prime impressioni sul tema cooperativa e sulla fattibilità di questo nuovo progetto legato all’auto riorganizzazione del sito produttivo e della sua produzione.

Il 9 Marzo 2015, 80 lavoratori su 126 accettano la mobilità volontaria unico modo per ottenere uno straccio risicato di copertura salariale. Per la legge dei numeri, un terzo della forza lavoro rimane fuori da questa possibilità ed io e i miei compagni abbiamo deciso di rimanere in forza per non abbassare e per non far scemare il disegno sul quale stavamo lavorando. A fine aprile del medesimo anno l’azienda viene dichiarata fallita e da quel preciso momento i nuovi possibili acquirenti hanno intrapreso tutte le strade possibili per convincere i 46 lavoratori ancora in forza, a firmare un licenziamento volontario e non oppositivo che gli avrebbe permesso di fare sciacallaggio e di riacquistare materiali e macchinari senza più nessun vincolo con la forza lavoro.

La nostra risposta è stata dura contro le richieste vergognose ed assurde di chi considera palesemente i lavoratori come carne da macello per riempire le pance del profitto e dei capitalisti. Con molta fatica, con tenacia e con una buona dose di incoscienza guidati sempre dalla convinzione che solo un opposizione classista può imporsi contro la borghesia ed il capitalismo,siamo riusciti invece ad ottenere l’avvio di una nuova procedura di cassa integrazione legata alla possibile ripresa dell’attività costringendo Cgil – Cisl – Uil a riaprire ogni possibile confronto con i curatori fallimentari e commissari dell’azienda fallita

Per renderla ancora più solida e sicura, visto che il Jobs Act non la prevede più se non in presenza di possibile continuità, io e due altri compagni ed ora soci lavoratori della Coop ci siamo recati dai curatori fallimentari e abbiamo firmato e depositato una richiesta formale messa nero su bianco dove comunicavamo la nostra volontà di riprendere l’azienda. Risultato immediato la ritirata della new-co letteralmente sparita e sciolta come neve al sole.

Ad inizio estate 2015, parallelamente ai presidi di fabbrica, abbiamo iniziato una serie di riunioni invitando tutta la ex forza lavoro a valutare seriamente il progetto che stavamo portando avanti ormai da quasi un anno. Vengono contattate tutte quelle strutture cooperativistiche sulle quali poi mi soffermerò alla fine del mio intervento.

Il 28 settembre 2015 segnava la data della fine di tutti i cicli di cassa integrazione e per ottenere la proroga di altri 6 mesi per tutti i lavoratori ancora in forza, arrivati a questo punto, serviva l’atto costitutivo della coop. Il 24 settembre i lavoratori fondano la “D’Esi Società Cooperativa”. Segnale forte e di rottura in un territorio devastato dalla crisi dell’elettrodomestico, dalle procedure di licenziamenti collettivi e dalle delocalizzazioni delle fabbriche.

Dopo quasi un anno di incontri con i curatori fallimentari e con il tribunale riusciamo ad ottenere il 23 maggio 2016 un accordo preliminare con il giudice ed iniziamo a riprendere in mano concretamente la fabbrica che viene riorganizzata per una piccola e media produzione di cucine componibili. Per i primi mesi ci siamo occupati di inventario dei materiali,collaudo degli impianti e delle macchine. Ormai entrati nel sito produttivo, e pronti sempre e comunque a lottare per la difesa del nostro luogo di lavoro,finalmente il 10 agosto 2016 abbiamo fatto l’acquisto del ramo d’azienda spendendo una buona parte dell’anticipo delle nostre mobilità e dei risparmi che ognuno di noi ha investito come quota associativa.

A vederla da fuori,questa sembra una storia a lieto fine,tutta rose e fiori!!Non è stato così, ansi, probabilmente se dovessimo pesare su un piatto della bilancia gioie e dolori,sicuramente ancora adesso tale ago penderebbe sul secondo aspetto. Resta il fatto inconfutabile che 15 soci lavoratori vivono e lavorano sul proprio coraggio e sulla propria forza di volontà. Un ottimo livello di coscienza politica sindacale legate alle giuste rivendicazioni su cui si basa parte dell’azione dell’opposizione di classe, hanno fatto la differenza e personalmente mi hanno dato tutte le conferme sul fatto che solo la lotta paga.

Vorrei chiudere questo mio intervento toccando due aspetti:

1) Quello delle cooperative.

2) La necessità politica di opporsi al capitalismo come elemento primario ed essenziale per riuscire ad ottenere certi risultati.

I soldi che erogano le catene coop non sono una manna dal cielo,ma sono il frutto di un investimento parastatale legato a banche, interessi economici e di casta. I capitali che abbiamo ricevuto e che sono serviti alla nostra ripartenza dovremmo restituirli entro un preciso l’asso di tempo a tassi non agevolati in un piano di rientro ben preciso e ben stabilito. A questo si lega poi un percorso quasi obbligato che porta inesorabilmente e ti obbliga a doverti affidare a società di consulenza commerciali ed industriali che fanno riferimento ai politici locali e regionali per sperare di poter portare a casa il risultato. Questo induce a dover spendere soldi per consulenze legate a personaggi di profilo personale ed etico di bassissimo livello pronti solamente a speculare sui soldi dei lavoratori e sui loro sacrifici. Purtroppo anche noi per un breve periodo abbiamo avuto a che fare con questi delinquenti figli del capitalismo,ma siamo riusciti ad imporci con le associazioni delle coop e abbiamo di fatto licenziato e cacciato questi “escrementi” della società(Nest srl di Fabriano il nome imposto dai curatori e avallato dalle cooperative).

Come secondo elemento di valutazione emerge un dato tanto inconfutabile e necessario basico per qualsiasi lotta nei luoghi di lavoro e nelle fabbriche: la necessità di costruire intorno a questi pochi e rarissimi cammini un organizzata lotta di classe con precise rivendicazioni che portino all’abbattimento del sistema capitalistico a livello nazionale ed internazionale. Se noi avessimo avuto una società figlia della lotta dei lavoratori,figlia dell’uguaglianza,figlia del rispetto delle culture e delle diverse radici, il nostro percorso sarebbe stato sicuramente più in discesa e forse più facile. Se avessimo avuto la possibilità di avere al nostro fianco una banca nazionalizzata sotto il controllo dei lavoratori, un decreto legge veramente attuabile che porti alla nazionalizzazione delle aziende in crisi sotto controllo operaio senza indennizzo per i padroni che licenziano e de localizzano,il fatto di potere contare sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario sulla verifica costante da parte dei coordinamenti di lotta nelle fabbriche che si confrontano tra di loro e che dettano la linea politica e sindacale unitaria sui grandi temi dove si sviluppa il conflitto sociale, probabilmente questa esperienza si sarebbe trasformata in un percorso e un processo normale e di routine, nulla di straordinario o di stratosferico!!!!

Solo un percorso politico espressione del marxismo rivoluzionario e della necessità del governo dei lavoratori può dare forza a queste iniziative che ancora vengono viste e paragonate come una goccia nell’oceano. O si è coscienti della necessità di ribaltare questi rapporti di forza, o si è destinati alla sconfitta. Non esistono mezze misure:o si sta con le ragioni dei lavoratori o si è nemico di essi, o lotta di classe o morte!!!!

Mauro Goldoni

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